Durante il WOD, sono e faccio ciò che penso?” Come il linguaggio verbale può influenzare la performance

Il linguaggio verbale può influenzare la performance? Direi proprio di si.

Penso che tutti abbiano sentito parlare della famosa “Profezia che si auto avvera” o effetto Pigmalione (vi rimando agli studi del sociologo Merton agli inizi degli anni ‘70) in cui si è potuto osservare empiricamente come le nostre credenze, nonchè convinzioni, potessero influenzare i nostri comportamenti.

Guardando il fenomeno da un’altra angolazione, potremmo parlare di regole verbali che sono in grado di influenzare il nostro comportamento all’interno di una cornice (un “frame”), in cui le stesse regole sono basate su una rete di relazioni arbitrarie dettate da processi cognitivi “insensibili” rispetto all’esperienza diretta.

In poche parole, non necessariamente devo fare esperienza di qualcosa per comportarmi in un determinato modo.

Esempio generale: ad un bambino dico non toccare il forno acceso perché è pericoloso, il bambino avrà imparato (forno caldo <—> pericolo) senza farne esperienza diretta (bruciandosi la mano).

Pic: Lorenzo Boccalari

Come si combina con lo sport ed il CrossFit®?

Nei recenti studi di psicologia, la Relational Frame Theory (RFT) di S. Hayes ci dice che il tipo di apprendimento verbale, di cui abbiamo parlato sopra, può avere dei costi se diventa inflessibile e rigido.

Pensate all’atleta che si sta preparando per una competizione all’interno del box.

  • I suoi amici lo supportano.
  • Ha i coach che lo seguono.
  • Sa quali sono i suoi punti di forza ed i punti deboli su cui sta lavorando.
  • Si sente all’interno di un ambiente che conosce, in cui ha fatto esperienza diretta di Sè all’interno di quel “sistema”.

Il giorno della competizione, l’atleta uscirà dal suo “porto sicuro”, mettendosi in relazione a nuovi stimoli e di conseguenza nuovi pensieri. 

A chi non è capitato di osservare durante una competizione qualcuno che muove la testa per dire “no” davanti a degli HSPU che magari ha sempre eseguito nel proprio box; a chi, vivendolo in prima persona, si è fermato nel bel mezzo di un WOD pensando: “Che figuraccia sto facendo con i coach. Basta, io mi fermo”. E tanti altri pensieri che credo facciano parte del bagaglio di chiunque essere umano, Crossfitter e non, dinanzi a nuovi scenari.

Senza fare piena esperienza diretta di qualcosa, rimango agganciato alla “storia” che la mia mente sta dicendo e mi faccio trascinare via. Per non provare queste sensazioni spiacevoli, attuo la strategia più economica e sicura che la mia mente mi suggerisce: attuo ciò che viene definito “evitamento esperienziale”.

E allora che fare?

Prima risposta: non si può bloccare la produzione di pensieri. Paradossalmente, cercare di controllarli è esso stesso il problema.

Diffidate da strani vademecum in cui si promette di “cancellare ansia e paura prima di una prestazione sportiva” (è un pò come dire al cuore di non pompare sangue: allo stesso modo, la mente produce pensiero).

Partendo dalla RFT, l’Acceptance and Commitmment Therapy (ACT) ci permette di operare su quelle regole verbali che possono impedirci di raggiungere gli obiettivi che vorremmo, come nell’esempio riportato, magari partecipare ad una competizione.

A tal proposito, un valido aiuto può essere allenare il perspective taking, ossia lavorare sul fatto che “io non sono quel pensiero”, ricercando il momento presente (come nella mindfulness – Leggi l’articolo precedente – pratica  evidence based, non solo in ambito clinico ma anche sportivo).

Faccio qualcosa per me vs faccio qualcosa per compiacere gli altri?

In più, per ogni atleta (di qualsiasi livello) può essere un valore aggiunto l’esplorazione di obiettivi unici ed intimi per sé (in RFT, si parla di “tracking”- per esempio: partecipare ad una competizione può avere diverse funzioni che variano da persona a persona) a differenza di regole basate su scambio sociale (il contrario del tracking, la “pliance”: faccio qualcosa non per un mio valore intrinseco, bensì per compiacere gli altri), in cui agisco per seguire non più ciò che conta per me (“non vado oltre nel WOD perché gli altri vedranno quanto non sia bravo”: il focus è all’esterno del Sé).

Insomma, con questi piccoli esempi, è possibile osservare come effettivamente la nostra mente metta il “pilota automatico” e questo ci faccia perdere il contatto col “qui ed ora” e ciò che per noi davvero ha valore: fare CrossFit®.

Immagina di essere alla maratona della tua vita e di avere una pettorina col nome di uno sponsor. Per chi correresti? Sfida, coraggio, curiosità, connessione, fitness, gratitudine, umiltà, pazienza…

A te la scelta!

#Enjoythejourney


Per i più curiosi del tema, ecco una piccola bibliografia e sitografia:

  • K. Henriksen, J. Hnasen, C.H. Larsen (2019), Minduflness and Acceptance in Sport.
  • S. Hayes, D. Barnes- Holmes, B. Roche (2001), Relational Frame Theory “A Post- Skinnerian Account of Human Language and Cognition”.
  • R.K. Merton (1970), “La profezia che si autoavvera”.
  • www.act-italia.org
  • www.act-italia.org/gis/act-e-sport/

Conosce il CrossFit® per caso, in mezzo al deserto, se ne innamora.
Le piacciono i legami che nascono nei box, luogo in cui passa tanto tempo.
Porta sempre con sé i suoi dumbbell personali di 8 e 6 anni.
Strizzacervelli.
Curiosa.
Ama osservare e condividere le interazioni tra mente e CrossFit®. Come lo fa? Grazie a Dummies at the Box

Psicologa - Esperta in valutazione Stress Lavoro-Correlato

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