Qual è il rapporto con il giudizio, soprattutto quello negativo? E nello sport?

Ultimamente, in moltissimi ambiti, è sorto un tema molto discusso: l’uomo moderno e il rapporto con il giudizio, soprattutto quello negativo.

Ne parla spesso Luca Bizzarri, nel suo podcast di ogni giorno, in cui racconta spesso il suo stupore per il cambio radicale nel metodo di giudizio dei ragazzi a scuola, ieri costantemente vessati da bocciature, votacci, insulti e oggi trasformati in esseri cui non si può contestare alcun limite, nemmeno minimo. Chi ha figli coglie immediatamente la dicotomia fra la difficoltà di giudicare un figlio che sbaglia e l’enorme facilità e immediatezza della giustificazione.

Nello sport ne ha parlato per primo, quanto meno a livello di risonanza mondiale, Giannīs Antetokounmpo, interrogato sull’inattesa sconfitta dei suoi Bucks al primo turno dei playoff NBA: a fronte della domanda sul peso della sconfitta, la risposta del Greco è stata profonda e inaspettata, mettendo in chiaro che quello che conta è il lavoro e non il singolo risultato episodico di un evento. Il cestista fa un parallelo con la carriera del giornalista: se non viene promosso ogni anno, se il suo stipendio non aumenta, è forse indice del fatto che ha lavorato male, o fa semplicemente parte del percorso del lavoro di ciascuno?

Nel nostro piccolo, la questione è esplosa, in modo piuttosto inaspettato, quando abbiamo pubblicato le pagelle degli atleti ai CrossFit® Semifinals (Rileggi l’articolo qui): da un lato il nostro articolo più letto di sempre, dall’altro un altissimo numero di contestazioni, non tanto da parte degli atleti coinvolti quanto da parte del loro entourage.

Qui vogliamo solo riassumervi il nostro pensiero di base: il giudizio negativo sulla prestazione sportiva è legittimo quanto estemporaneo, legato all’evento in se e quindi mai in grado di esaurire un giudizio sull’atleta o, ancora meno, sulla persona. L’accettazione di esso fa parte della maturazione di ognuno di noi, qui sì dell’uomo prima che dell’atleta: avere un ruolo pubblico si porta dietro necessariamente l’esposizione al giudizio del pubblico.

Anche contestare il fatto che non si conosce il dietro le quinte del lavoro fatto per arrivare a un determinato livello è una contestazione futile: è proprio questo a garantire che il giudizio sia totalmente scevro dal giudizio sulla persona, perché si valuta solo la prestazione in questione.

Su di essa incidono tantissimi fattori esterni?

Sì, ovviamente, ma questo vale per tutti, quindi si parte alla pari.

Un’altra contestazione facile è: chi sei tu per giudicare?

Nessuno, questo sia chiaro. Chiunque faccia le pagelle, chiunque giudichi una gara, non ha i presupposti per farlo, proprio perché non sta gareggiando in quel momento. Molto spesso, inoltre, i giornalisti non hanno le capacità di fare nemmeno un decimo di quello che un atleta professionista sa fare. Tuttavia, non credo sia necessario essere un atleta per giudicare un atleta: ci sono competenze che si sviluppano in modo diverso, con lo studio, l’esperienza, l’approfondimento, il confronto. Inoltre, nessun atleta sarebbe in grado di essere concentrato sulla gara e contestualmente giudicare la gara sua e quella degli altri in modo esterno e distaccato.

Sono davvero necessarie le pagelle?

Questo è un dato totalmente opinabile. Io, personalmente, le amo, ma questo non basta, così come non basta il dato di fatto che le nostre siano state l’articolo più letto del nostro blog. Ci sono in tutti gli sport, e anche questo è un dato di fatto ma non sufficiente a dare un responso definitivo. La verità è che la risposta a questa domanda è facile: non è obbligatorio leggerle.

Ci sono file di calciatori, per fare un esempio facile, che hanno dichiarato di esserne ossessionati e di leggerle sempre tutti, e almeno altrettanti pronti a giurare di non averne mai letto una, per evitare di sentirsi in difficoltà o esaltarsi. In pratica, fate come volete, così come noi, che le scriviamo per passione, senza giudizio su nessuno se non sulla singola gara, con intento leggero e con la voglia di dare, come sempre, un nostro punto di vista su quello cui abbiamo la fortuna e spesso il privilegio di assistere.

Ci siamo interrogati su questo fenomeno, e ne parleremo presto con la nostra psicologa Vanessa Coccimiglio, in una nuova puntata di Talking with Friends alla quale rivolgeremo alcune domande.

Stay tuned….

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