Il metodo presentato da AFFI Italia: un sistema che valuta negli anni le performance degli atleti e impedisce a chi è troppo forte di partecipare in categorie inferiori al suo livello.
Cosa succederebbe se Kylian Mbappé, avendo perso il mondiale in Qatar, decidesse di non voler mai più perdere una partita e quindi andasse a giocare in terza categoria?
Se Stephen Curry, folgorato sulla via di Damasco, decidesse di iscriversi al torneo della Parrocchia?
O se Novak Djokovic, escluso per non essersi vaccinato da tutti i circuiti professionisti, partecipasse al torneo del circolo del tennis di Calvari, paese di 169 anime nell’entroterra genovese?
In tutti questi casi, il campione di turno sbaraglierebbe completamente ogni avversario, pur competendo esattamente sullo stesso terreno di gioco e con le stesse regole.
Si potrebbe impedirglielo? Beh, se non per ragioni anagrafiche (under e over), di genere (uomini con uomini, donne con donne, o mix equilibrato) o di regolamento (il vaccino di Novak, per esempio) di fatto no.
Sarebbe giusto per loro partecipare a queste competizioni? Tutti e tre potrebbero addurre per la loro scelta motivazioni personali più o meno valide (psicologiche, religiose, ideologiche), ma in sostanza non sindacabili, quindi di fatto sì.
Ovviamente, il divertimento di tutti gli altri partecipanti si sposterebbe: non più la gioia di vincere, ma l’occasione di confrontarsi con un campione di quel calibro; di sicuro tutti si troverebbero costretti a scegliere se accettare la cosa o cercare, nel panorama del loro sport, una situazione competitiva che ritengono più adeguata.
Ovviamente, si possono mettere dei vincoli a questo tipo di libertà, utilizzando parametri oggettivi: per esempio molti tornei amatoriali di calcio impediscono l’iscrizione a calciatori affiliati alla FIGC, per tenere fuori chi ha la possibilità di allenarsi in modo agonistico e professionale, oppure gli sport di lotta che differenziano le categorie in base al peso, o i già citati distinguo per età e genere.
Le gare e l’assegnazione delle categorie
Cosa c’entra tutto questo discorso con il CrossFit® e/o Crosstraning? Beh, chi ha partecipato anche solo a una gara nel proprio box sa perfettamente che la principale polemica del nostro sport è legata a – cito – “quelli che si iscrivono Experience e poi snatchano 90kg”; non ditemi che non l’avete mai sentito dire, perché non vi credo: l’annosa, irrisolta, infinita polemica sull’assegnazione delle categorie.
Disclaimer – non me ne vogliano i puristi dello slang CrossFit®: per semplicità chiamerò le categorie come va per la maggiore cioè:
- Elite (un tempo definita RX, che mi piaceva tantissimo),
- Regular (prima Scaled, definizione superata ma in realtà perfettamente aderente alla realtà dei fatti – cioè atleti full skill con pesi e passo inferiori agli elite)
- Experience (che sta per essere definitivamente sostituita da Beginner). Non tratterò, nell’articolo, le categorie Open e tutte le altre varie definizioni possibili, oltre alle categorie distinte per età o disabilità. Il discorso vale quindi nella fascia 18-35, sia per individual sia per team.
L’assegnazione oggi delle categorie: come funziona
Come funziona oggi la gestione delle categorie?
Ogni gara propone un suo rule book, in cui per ogni categoria definisce i propri standard minimi; resta poi a totale discrezione dell’atleta (o del Team) decidere se e come vuole competere. Tutto ciò fa sì che spesso, nelle categorie Experience, la forbice fra vincitore e maglia nera vada dal livello “regular medio” del primo al non-so-distinguere-uno-snatch-da-un-pull-up dell’ultimo.
Come avviene la scelta?
Vi porto un esempio: Guido si allena da sei anni circa, e ha sempre amato fare le gare. Tuttavia non è mai stato full skill: gli manca la ginnastica, dove è scarso, e non è in grado di fare né i pistol squat, né i muscle up, né l’hand stand walk. A 36 anni serenamente accetta che non avrà mai queste skill. A inizio anno, quando pensa a quali gare mettere in calendario, guarda alle gare interne ai box, quelle dove agli experience vengono richiesti i single under (anche se sui double è abbastanza forte), i knee rise (eppure una decina di toes to bar ormai li infila) e il bilanciere non va oltre i 50kg sopra la testa (anche se può snatchare fra i 70 e gli 80 abbastanza serenamente).
Non vince mai Guido, ma si diverte. Alle grandi gare, con le qualifiche, non prova nemmeno ad avvicinarsi e va a vederle da spettatore, con lo stesso spirito con cui va allo stadio a guardare il suo Genoa nonostante ogni mercoledì, da 15 anni, giochi a calcetto con i colleghi, e abbia vinto anche qualche torneo da ragazzo. Quasi sempre, soprattutto post covid, almeno i primi dieci della classifica delle gare a cui ha partecipato erano atleti Regular che forse volevano vincere facile o cercavano il là sociale e psicologico per iniziare ad approcciare la categoria superiore.
Cosa dimostro con il mio esempio?
Secondo me due punti fondamentali:
- il primo è che esiste, ed è facilmente riconoscibile per ogni crossfitter mediamente informato (chiedete al coach, se proprio siete in dubbio) una classifica non scritta ma evidente di difficoltà delle gare, che aiuta a scegliere;
- il secondo è che il fatto che chi vince sia di una categoria superiore rispetto a tutti gli altri è intrinsecamente sotteso al concetto stesso di sport.
Categorie omogenee: è davvero possibile?
Proviamo, a ulteriore controprova, a fare il percorso inverso, partendo quindi dal top: Froning, Fraser, Medeiros e Toomey sono chiaramente superiori a tutti gli altri, tanto è vero che finché competono vincono, e quando non possono più vincere si ritirano.
Nelle grandi gare internazionali, cui partecipano atleti Games o Semifinals, vincono quasi sempre i primi, difficilmente chi non è mai arrivato ai Games (ora, potrebbe anche essere successo, non ho fatto una statistica esatta, vorrei solo che passasse il concetto).
Scendendo nelle gare di portata nazionale vincono quasi sempre gli atleti Semifinals, nelle gare regionali gli Elite che ambiscono alle Semifinals, e così in giù, potrei continuare, fino a dire che nella Barbell & Barbecue di inizio estate del box di Peschiera Borromeo vincono di solito quelli che, nelle vita, qualche garetta l’hanno fatta, o magari la faranno.
Altra dimostrazione che il concetto di categoria in cui tutti sono allo stesso livello è non solo utopico, ma concettualmente sbagliato e nella pratica secondo me irrealizzabile.
Chiunque vinca, nel momento in cui vince, è almeno apparentemente competitivo anche nella categoria superiore: impossibile sapere perché non ci ha partecipato; potrebbe essere che si sia sottovalutato, o abbia over performato in gara o che gli sia andata bene e in gara c’erano gli snatch in cui è fortissimo e non c’erano i toes to bar in cui invece fa fatica. Gli altri penseranno che avrebbe fatto meglio a iscriversi a un’altra categoria, ma la realtà è che c’è sempre chi arriva primo e chi arriva ultimo. “Quello che ha vinto snatchava 90kg” resta così la scusa di chi non sa accettare la sconfitta o di aver scelto una gara di livello troppo alto per lui.
Conclusioni
Come si può fare, quindi, ad avere competizioni adeguate per tutti, sia coloro che sono effettivamente degli Elite, sia coloro che sono dei semplici Beginner che nella vita non ambiscono se non a divertirsi un paio di weekend all’anno?
Oserei dire che la situazione è già, sostanzialmente, la migliore: il passo successivo, l’ottimo, sarebbe solo che le gare stesse, mantenendo ciascuna la propria unicità, si mettessero d’accordo per definire degli standard che li facciano essere di Serie A, B o C.
È irrealizzabile? Probabilmente sì, perché nessun organizzatore, o molto pochi, saranno mai disposti ad accettare che la propria creatura venga ritenuta inferiore alle altre.
Eppure sarebbe necessario, perché normalizzerebbe anche il percorso degli atleti: ce ne potranno essere alcuni che staranno una vita a competere Experience in Serie A, perché magari sono molto forti e allenati ma non full skill, o altri che, essendo invece in grado di fare ogni movimento ma magari non potendosi allenare granché per via del lavoro, potrebbero gareggiare una vita Elite in serie C.
Poi, ovviamente, ci saranno quelli che potranno ambire a crescere di anno in anno, quelli che cambieranno di categoria in base a dove vengono pagati meglio (magari vinco tante gare in serie B e vivo di CrossFit® anziché essere uno dei tanti in serie A, come Stefan Schwoch, capocannoniere all time della serie B di calcio). Insomma, questo metodo lascerebbe a tutti la libertà di competere dove meglio credono, e allo stesso tempo darebbe piena dignità a tutte le gare le quali, in base al maggiore o minore successo che ottengono, potrebbero salire o scendere di categoria, negli anni, e crescere o ridimensionarsi a seconda del desiderata di chi le organizza.
Ricordiamo infatti che non ci sarebbe un giudizio di valore nell’assegnazione della categoria alla gara, ma solo dati oggettivi. Per esempio, e semplificando molto, si potrebbe decidere che i parametri siano il numero di partecipanti massimo potenziale, il numero di iscritti alle qualifiche ottenuti e la comodità logistica.
Il primo anno di giudizio potrebbe ovviamente portare a “distorsioni”, tipo gare che pur di stare in A accetterebbero tantissimi iscritti, tuttavia già dal secondo anno la cosa verrebbe annullata basandosi sullo storico e sul fatto che molti, essendosi trovati stretti come sardine sul floor, la abbandonerebbero. Ovviamente questo è solo un esempio, per far capire che l’organizzazione non sarebbe giudicata, ma semplicemente valutata sulla base di quella che è la sua reale espressione, e senza giudizio soggettivo.
In questo senso, il fatto che un evento abbia o meno successo, è da considerarsi un dato oggettivo nonostante si basi sul giudizio soggettivo di ogni singolo stakeholder.
La soluzione di AFFI
Ok, stiamo parlando di un sogno, probabilmente irrealizzabile.
Di sicuro, il metodo più vicino a essere messo in pratica è quello presentato da AFFI Italia mercoledì 21/12 sul loro canale IG. Un sistema che valuta negli anni le performance degli atleti e impedisce a chi è troppo forte di partecipare in categorie inferiori al suo livello.
Un metodo ben pensato e ben esposto da Luca Morassutto, Andrea Barbotti e Neil Mac Leod, che vi consigliamo sicuramente di andare a scoprire, e che valorizza tutte le categorie:
- i Beginner, che avranno meno “mostri” da dover distruggere;
- i Regular, che diventeranno con il tempo la categoria di riferimento del movimento, accogliendo tutti gli atleti in grado di essere Full Skill e di allenarsi con costanza e dedizione;
- gli Elite, che come dichiarato dal nome, sono una cerchia esclusiva di cui fanno parte solo i migliori dei Regular, quelli che ambiscono al professionismo (che speriamo presto arrivi anche nel CrossFit® di casa nostra).
Di certo, era necessario che qualcuno iniziasse a trovare una soluzione a questo eterno dilemma dei crossfitter.
Tuttavia, nessuno mi toglierà mai dalla testa l’idea che ognuno debba essere libero di mettersi alla prova dove più gli piace, e che sia semmai la gara a dover attrarre gli atleti, non il contrario.
Eventualmente, sarebbe necessario avere un ranking consultabile degli atleti in base ai loro risultati, in modo che all’atto di iscrizione ciascuno sia in grado di valutare il livello dei competitor presenti, sul modello ATP del tennis. Tuttavia, anche questo metodo presupporrebbe una classificazione delle gare, perché un primo posto Elite non può avere lo stesso valore nella gara interna al box e ai Games. Esattamente come vincere Wimbledon non ha lo stesso valore di una vittoria al 250 di Acapulco.
Insomma, lascio a voi il giudizio: è giusto impedire a chi è troppo forte di gareggiare Experience, o invece è chi si iscrive a dover accettare che in una determinata gara potrebbe anche perdere?