Uno sguardo, con senso critico, al panorama delle competizioni di CrossFit® italiano.
Quale futuro?
È proprio di queste ore l’indiscrezione secondo la quale Southern Warriors, gara giunta alla decima edizione, si svolgerà in Qatar. Sarà uno spostamento vero e proprio o una tappa di qualcosa di diverso? Per il momento, non sappiamo di più, ma di certo non è l’unica nota di novità che registriamo in tema gare italiane.
Recentemente, Battledrome ha mostrato a tutti la sua nuova veste, in una location che sarà indimenticabile per atleti, pubblico e addetti ai lavori; allo stesso tempo, Roma Throwdown insegue numeri senza precedenti, dopo l’exploit di inizio anno di Modena Winter Team Challenge e il solito successo di Pietrasanta Beach Throwdown. In lieve parabola discendente ma ancora punto di riferimento per l’intero movimento Italian Showdown, all’interno della Fiera del Fitness di Rimini.
Alle spalle delle big, ci sono eventi che stanno sgomitando per raggiungere una portata nazionale: Uroboro Summer Competition, Hold Fast Competition, October Challenge, Tuscany Games, Ligurian Throwdown e la neonata Bologna Throwdown hanno raccolto consensi e grande considerazione a tutti i livelli.
Attenzione però, non è tutto oro quello che luccica: il dietro le quinte è spesso complicato e le difficoltà organizzative, di coordinamento e di impegno possono andare oltre il successo dell’evento.
Rumors sempre più insistenti anche se non confermati parlano di un Wodagoa non replicato nonostante l’enorme successo del 2022, così come la WW4Mori, che rimarrà sempre nei nostri cuori per aver portato Rich Froning a gareggiare in Italia ma che pare non abbia saputo trarre il meglio da questa opportunità. Siamo sicuri che questi due eventi, qualora non confermati, lasceranno un vuoto enorme nel cuore di tutti gli appassionati.
No, non ci siamo dimenticati di Fall Series: l’evento più discusso d’Italia resta punto di riferimento per tutti coloro che vogliono fare il salto di qualità definitivo.
Sono migliaia i ragazzi che passano l’anno nei box italiani a prepararsi per la tre giorni di Desio, eppure FST sembra che resti sempre sotto giudizio: saprà mantenere la sua presa sui grandi nomi Elite o diventerà col tempo una fucina di potenziali campioni? L’ultima edizione sembra andare in questa direzione, il che per altro dà alla gara un ruolo fondamentale e unico nel suo genere nel panorama CrossFit® italiano.
Dietro a tutto ciò, la numerica di eventi per chi si allena è infinita e variegata: gare in singolo, gare a team, standard diversi, per non parlare dei circuiti Affi e Sthenathlon con i loro format che spesso si avvicinano tanto al CrossFit® pur mantenendo la loro peculiarità.
Il futuro delle gare di CrossFit® Italiane
Insomma, ce n’è davvero per tutti i gusti e per tutti i livelli, ma qual è, davvero, il futuro delle gare italiane?
Partiamo da un presupposto: a livello di attrattiva europea e mondiale siamo di fatto inesistenti; non bastano poche ed estemporanee apparizioni di atleti Top a fare di una gara un evento di portata internazionale, e la dimostrazione sta nelle testimonianze di tutti gli atleti Elite di casa nostra: per fare il vero salto di qualità bisogna gareggiare all’estero.
Non si tratta di esterofilia o di snobismo: viaggiare, oltre a essere già di per sé un’occasione di crescita umana e personale, consente spesso di confrontarsi con livelli organizzativi, bacini di pubblico e cultura sportiva lontanissimi dagli standard italiani. Non è una critica a nessuno, ma pura osservazione della realtà: gli italiani, calciofili e provinciali fin nel profondo anche quando non si definiscono tali, sono abituati a un tifo pro/contro, all’identificazione con la maglia, al noi contro tutto il mondo.
Nel CrossFit® questo non si fa: il tifo è per lo sport, la soddisfazione è per il gesto atletico, per la vittoria dell’uomo sulla fatica, e non esiste il tifo per qualcuno, se non in sfumature lievissime, meno che mai quello contro.
Il tutto si riflette in una endemica fatica a portare il vero pubblico agli eventi: ci sono tanti che vanno a vedere gli amici woddare, passano con loro le pause fra le heat, e approfittano magari per visitare città mai viste o per un weekend al mare, ma nessuno o molto pochi vanno davvero a vedere la gara, a partecipare all’evento come pubblico. Testimonianza ne sono le finali, tipicamente seguite da un pubblico molto meno numeroso rispetto a tutti gli altri eventi della giornata.
È un grave handicap del nostro modo di tifare e un fortissimo freno allo sviluppo dello sport nel nostro Paese.
Un altro dato che ci allontana dai grandi eventi è l’incapacità di attrarre grandi investimenti. Intendiamoci, non che manchino gli sponsor: sono tanti, attivi e spesso cofautori del successo dell’evento.
- La problematica è che mancano grandi sponsor istituzionali che siano veramente interessati a investire nel movimento da tutti i punti di vista, permettendogli di diventare mainstream: tutti quelli che vediamo nelle gare hanno un modello di business che necessita un ritorno immediato dell’investimento (tipicamente ottenuto tramite negozio in area vendor), mentre manca chi cerca la pura visibilità, cioè coloro che fanno la fortuna di tutti gli altri sport; per fare alcuni esempi, penso ai grandi brand di auto, che sono spesso motore di tantissimi eventi sportivi, o quelli di alcolici, che mal si sposano però con il nostro modus vivendi, o ancora i grandi marchi italiani dell’alimentazione come Barilla, oggi totalmente fuori dal nostro mondo ma presenti in altri sport; nemmeno aziende nazionali ma territoriali (Casa Modena per Modena Winter Challenge per fare il primo esempio che viene in mente) si interessano alle nostre gare.
- Mancano ad oggi anche i grandi brand sportivi, come Nike, Reebok, Nobull o Rogue, che fanno la fortuna del CrossFit® negli altri Paesi. La spiegazione è lapalissiana e già evidente in quanto scritto finora: bisogna attrarre più pubblico per diventare interessanti agli occhi di investitori di questa portata.
L’importanza dell’attenzione pubblica nel CrossFit®
Abbiamo parlato di cultura sportiva, di investimenti privati, aggiungiamo un altro grande tema: l’attenzione pubblica allo sviluppo di questo sport.
Entriamo su un terreno scivoloso, perché parlando di CrossFit® si parla pur sempre di un’azienda privata, tuttavia è chiaro come l’interesse di Stato per lo sport in generale sia ai minimi rispetto al resto del mondo. Per quanto mi è stato possibile vedere nei miei viaggi di lavoro e di piacere, quasi in nessuna Nazione sviluppata o in via di sviluppo è dato così poco peso al ruolo sociale dello Sport come in Italia. Questo si riflette in investimenti praticamente nulli per tutto ciò che non sia calcio, figuriamoci per CrossFit® o Crosstraining.
È quindi evidente, da questa analisi, che il CrossFit® italiano non possa contare su un humus esterno che lo faccia maturare in autonomia: serve che tutti gli operatori si impegnino per la crescita omogena e strutturata del movimento. Serve un coordinamento unico e univoco, una direzione chiara che permetta a tutte le gare di mantenere la loro unicità ma di essere più forti di fronte a pubblico e investitori.
- Sarebbe fondamentale che almeno le 8/10 gare principali italiane si coordinassero e organizzassero un direttivo, creando un calendario comune e condiviso, confrontandosi con i grandi Coach (Benedetto Salvo, Matteo Agnello, Matteo Fuzzi, ecc.) per far sì che i grandi atleti si dividano le gare più importanti, dando loro lustro e attraendo così atleti dall’estero.
- Sarebbe necessaria una comunicazione coordinata, di qualità, omogenea e possibilmente la creazione di un fondo comune a cui tutti possano contribuire e attingere, a seconda del momento e del bisogno, in modo da dare agli sponsor e agli investitori un unico grande interlocutore, capace di coordinare introiti e guadagni nel modo più fruttuoso per tutti.
- Ci vorrebbe, in sostanza, un direttivo manageriale, con direzione marketing, acquisti e vendite che sappia coordinare l’intero sistema, in modo che gli ideatori della gara, solitamente (anche se non sempre) coach e box owner, possano concentrarsi sugli aspetti qualitativi e non solo su quelli puramente organizzativi, oggettivamente e giustamente fuori dalle loro competenze.
Bisognerebbe, una volta per tutte e almeno in un mondo così piccolo come è quello del CrossFit® italiano, trovare la forza di lavorare insieme e pensando al bene comune, superando le piccole diatribe da cortile così classiche della nostra cultura.
È davvero possibile? Credo di no, ma siamo anche l’unico Paese al mondo a non essere in grado di farlo. Speriamo che, prima o poi, qualcuno se ne accorga.